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Flavio Chiti: dal San Zeno al Torino di Sergio Vatta e ben oltre ...

Flavio è un altro esempio di giocatore che dal terreno della mitica “Busa” ha spiccato il volo verso il calcio professionistico. 

La gloriosa maglia granata veronese è diventata il lasciapassare per il settore giovanile del Torino, che si è successivamente trasformato nel trampolino di lancio della sua carriera nel mondo dei professionisti.

Il difensore veronese originario di Villafranca, dove è nato il 12 febbraio del 1970, in quindici anni di professionismo ha messo insieme oltre 300 presenze tra serie A, B e C. Oggi, una volta appese le scarpe al chiodo, dopo un paio di esperienze da mister sulle panchine di Voghera e Gallaratese, è uscito dal mondo del calcio e gestisce un centro estetico a Legnano, città dove ha deciso di fermarsi dopo aver trascorso quattro anni con la maglia lilla.

Facciamo un triplo salto carpiato indietro nel tempo. Come e quando inizia la tua avventura con il  San Zeno?

 «Come tutte le belle storie, anche la mia è iniziata quasi per caso. Giocavo nell’US Colombo, dove condividevo la passione per il calcio con gli amici d’infanzia. Un giorno mio fratello più piccolo, seguendo l’invito dei suoi amici, ha deciso di andare a giocare nei pulcini del San Zeno. Mia mamma, vista l’opportunità di avere entrambi i figli nella stessa società, scelse in piena autonomia di fare lo stesso con me. Mi ritrovai, quindi, a far parte della squadra esordienti. Il fatto di lasciare i miei amici mi dispiaceva un po’, ma la possibilità di giocare nel campionato FIGC - l’US Colombo era iscritto al torneo CSI - rese il passaggio più facile.»

Dal San Zeno al Torino, prende il via il tuo rapporto con il “calcio che conta”. 

«Negli esordienti per la verità giocavo in attacco e segnavo pure! La mia vita è cambiata all'improvviso in una partita contro il Lloyd. Ero di struttura robusta e la presenza negli avversari di un centravanti “di peso” convinsero il mio allenatore a spostarmi nella posizione di centrale, ruolo che non ho mai più cambiato. L’approdo già quell’anno nella rappresentativa di Verona mi permise di mettermi in mostra tanto da meritarmi la convocazione per un provino con il Torino dopo il quale, tuttavia, non ci furono sviluppi. L’anno successivo rimasi ancora al San Zeno come giovanissimo. Eravamo una bella squadra con la quale, ricordo, ci siamo presi delle belle soddisfazioni. Con me in difesa con la rappresentativa giocava anche Davide Bolognesi, l’attuale responsabile del settore giovanile, con il quale avrei poi condiviso l’esperienza nel settore giovanile del Torino. In quella stagione, dove fui convocato anche nella rappresentativa provinciale, feci altre due prove sempre con la società granata. La prima a Lendinara, la seconda di una decina di giorni, proprio a Torino. In quell’estate, era il 1984, il sig. Olivato trattò il mio passaggio al Toro. Il 24 agosto del 1984, una data che ricordo come fosse ieri, firmai per il mio trasferimento. Con me da Verona partirono anche Davide Bolognesi e un certo Ferrari di San Bonifacio».

Con il Torino dal settore giovanile alla serie A. 

«A Torino ho trascorso cinque anni nel settore giovanile, arrivando sino alla Primavera, giocando insieme con giocatori come Sordo e Zago. Si trattava, comunque, di un impegno decisamente importante. Facevamo allenamento tutti i giorni dal martedì al sabato, mentre la domenica c’era la partita. L’unico giorno di riposo era, quindi, il lunedì. Si viveva in una foresteria. Ricordo ancora la signora Teresa, mancata purtroppo pochi anni fa, che per noi era come una mamma. Davide Bolognesi ed io, quando ne parliamo, proviamo ancora grande commozione. Veramente un bel ricordo. In quel periodo, comunque, giusto per dare un’idea del livello di qualità, in nove siamo arrivati a fare i calciatori professionisti.

[n.d.r.: allenatore Sergio Vatta, finalisti Torneo di Viareggio nel 1988 (2° posto) e 1989 (1° posto)].

Torino Primavera vincitore Viareggio 1989: Chiti terzo da sinistra in piedi e Bolognesi accosciato primo a destra

Uscito dal settore giovanile sono passato prima all’Alessandria e poi da lì si è sviluppata la mia carriera che mi ha portato a vestire le maglie di Modena, Cagliari - con la quale ho esordito in serie A - Venezia, Prato, Marsala, Novara, Tolentino, Gela, Poggese e Legnano dove, di fatto, ho chiuso con il calcio giocato».

Uscito dal settore giovanile granata hai fatto ritorno dopo alcuni anni. Invece di rimanere in serie A, però, andasti al Prato proseguendo poi la carriera in serie C. Qualche rimpianto?

«Purtroppo sono tornato al Torino nel momento sbagliato. Era appena arrivata la sentenza Bosman, che aveva azzerato tutti i parametri e aperto alla libera circolazione dei giocatori in ambito comunitario, ampliando di fatto la concorrenza. Inoltre sulla panchina granata c’era il compianto Emiliano Mondonico, una bravissima persona che, però, non aveva particolare attenzione per i più giovani. Io non ebbi la pazienza di aspettare il mio turno. Si fece avanti il Prato e io andai in Toscana, dove rimasi tre stagioni. Per una serie di vicissitudini contrattuali, dovuti anche alla mia impaziente voglia di giocare, finii alle buste dove davanti a nessuna offerta da parte di entrambe le società rimasi a Prato, dove avevo giocato la stagione precedente. Il mio rimpianto più grande è forse quello di non aver saputo aspettare il mio turno. Si è giovani e si ha voglia di giocare. Tornassi indietro con qualche consiglio in più avrei scelto diversamente. Probabilmente sarebbe stato meglio fare un altro anno di primavera. In quei tempi, tuttavia, non c’erano i procuratori e dovevamo scegliere con la nostra testa, a volte anche poco consigliati dalla stessa società di appartenenza ».

Nella nostra chiaccherata non può mancare un pensiero per il Presidente Franco Casale.

«Per me lui è il “Presidentissimo”. Si tratta di una persona speciale, animata da un’infinita passione per il calcio e, soprattutto, per i giovani. A volte sembra abbia un atteggiamento un po’ chiuso ma in realtà ha sempre voluto molto bene a ognuno dei suoi giocatori. Lui e il San Zeno, si può dire siano una cosa sola».

Tu dal San Zeno passasti direttamente al Torino, società con la quale c’è ora in piedi un rapporto di proficua collaborazione, vista anche la prestigiosa assegnazione di Centro Federale, Questo rappresenta una grande opportunità per coloro che scendono i famosi 28 gradini della Busa”.

«Il mondo del calcio di oggi è un po’ cambiato da quello dei miei tempi. Credo, comunque, laddove si presenti l’occasione, che l’atteggiamento migliore sia quello di affrontare un’esperienza come la mia con umiltà, senza lasciarsi distrarre dalla voglia di fare il calciatore, inteso in particolare come mondo dorato dove si guadagnano anche diversi soldi. Questo può essere un obiettivo ma non bisogna farsi ingannare dalle illusioni. Ai ragazzi mi sento di dire “se vuoi giocare a calcio, non pensare al calcio” come dire che questo sport deve essere vissuto con grande passione e impegno e con l’obiettivo di arrivare il più in alto possibile senza mai dimenticare anche altri obiettivi altrettanto importanti come può essere, ad esempio, quello dello studio.»

Intervista di Enrico Brigi (IG enrico.brigi FB enrico.brigi)


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